Fuoco sotto la cenere.

E’ maggio. La natura esplode. Grazie alle abbondanti piogge di aprile, e al sole immediatamente seguito, il mondo è un po’ più verde. Le rose fioriscono per ultime, da perfette prime donne. Alla mattina l’erba è sempre umida di rugiada. Il cielo è pulito, e gigantesche nuvole si arrotolano sopra la città. E’ praticamente impossibile restare chiusi in un qualsiasi edificio per tutta la giornata, non importa se il completo tiene fin troppo caldo, si resta in camicia. Alla mattina uscendo di casa, si è assordati dal chiasso continuo degli uccelli che danno il buongiorno al sole. Ogni anno, da che il mondo esiste, torna l’estate, con il suo carico di promesse e speranze. Senza essere meteoropatici, ogni uomo su questa terra ogni inverno muore un po’ assieme alle foglie, và in letargo mentre il sole è più pallido. Nella stagione secca equatoriale annaspa alla ricerca d’acqua. Ma poi rinasce ogni volta. Poche sensazioni sono piacevoli come il sole che si fa più forte a primavera o un temporale dopo la siccità. Siamo inestricabilmente congiunti con la terra dove viviamo.

Allora immaginate che tutto questo non esista più. Che tutto, sia finito. Che il cielo, gli alberi, le foglie, gli uccelli, l’erba, l’aria, siano diventati cenere. Il sole non scalda, l’aria è polverosa, l’erba non esiste più, gli alberi sono morti, gli uccelli non cantano perché sono morti. L’inverno è diverso dall’estate solo perché è più freddo. Anche il mare è grigio. Tutto è secco, amaro, polveroso. La neve soffoca. Il fango intralcia. E tuttavia continua ad essere il nostro mondo, dove si aggirano sopravvissuti e vivi già morti.

Questo è il paesaggio post-apocalittico raccontato da Cormac MacCarty in “La Strada” (Einaudi, pp. 218, euro 12). Il suo mondo di carta è morto. Non c’è niente di niente. E’ un mondo fatto di cose, e di esseri che un tempo erano stati vivi. In una terra desolata come questa, sono rimasti solo degli umani. Le persone sono importanti in una situazione come questa. Per kilometri e kilometri puoi non incontrare anima viva, quando succede è sempre un evento. Le persone possono aiutarti se sei malato, le persone possono ucciderti se sei disperato, le persone possono indicare che c’è cibo nelle vicinanze, le persone sono cibo nelle vicinanze.

Raminghi e solitari su questa terra deserta un uomo e il suo bambino. Hanno un carrello, su cui portare le poche cose che possiedono. Hanno un telo, per ripararsi dalla pioggia. Hanno una pistola, per difendersi dai predoni. Ma ogni oggetto che portano con se, non lo possiedono veramente. Si, forse l’assoluta mancanza di tutto ti mette in condizione di apprezzare qualsiasi cosa, anche delle mele marce. Ma restano solo cibo, qualcosa da usare per sopravvivere, e poi buttare via non appena ha smesso di funzionare. Ciò che hanno sono loro stessi. Vivono l’uno per l’altro. Non c’è stato su cui fare affidamento, comunità di sopravvissuti, libro in cui trovare la Verità, non c’è Dio nel mondo. Il Dio dell’uomo è il suo bambino.

Lo stile di MacCarty è asciutto, prosciugato, come la terra arida che attraversano i suoi personaggi.  Non ci sono colori, non c’è vita, se non nei sogni e nei ricordi, trasparenti e lontani. Ma come può ricordare i colori un bambino che non li ha mai visti? Eppure, si può trovare ancora bellezza da qualche parte, se la si cerca dentro di sé. E allora una cascata, che romba e scroscia in una valle silenziosa, è un posto fantastico dove fare il bagno, anche se l’acqua è nera e gelida. E un rifugio sotterraneo, miracolosamente intatto, è un angolo di paradiso. Ogni piccola cosa è meravigliosa. Se non mangi da una settimana delle pere in scatola sono un raffinato banchetto. E il mare, la spiaggia, anche se grigia e brutta, è sempre un posto dove giocare. Un bambino che non ha ricordi del passato della Terra rimane sempre un bambino, porta il fuoco dentro di sé. In un mondo senza bambini, un piccolo corpicino smagrito che si spruzza e corre e gioca nel bagnasciuga tremando dal freddo, illumina.

Questo è un libro difficile da leggere, non è piacevole, non vorresti che il mondo delle pagine scritte fosse il tuo. E’ un libro da leggere fuori, al sole seduti sul prato, o dondolando su un amaca. Ogni tanto bisogna fermarsi, quando lo stomaco non regge più (non ci sono capitoli per fare una pausa), alzare gli occhi, guardare il cielo, sentire il vento, accarezzare l’erba umida. Ricordarsi come è bello.

Aride le descrizioni, aridi i dialoghi, ma c’è sempre sotto, come un terremoto che sveglia i campeggiatori in mezzo alla foresta, qualcosa che si muove. Una speranza che viene solo da se stessi, dalla volontà di essere buoni, una vita sepolta più vecchia degli alberi e delle montagne.

8 commenti

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8 risposte a “Fuoco sotto la cenere.

  1. Eleonora Saldarini

    Direi che è aggiudicato alla lettura, anche perchè non credo si discosti molto da ciò che diventerà la nostra amata natura. Comunque compliementi per il tuo modo di scrivere, mi piace parecchio! 🙂

  2. Noemi

    Per una serie di vicissitudini che ora non sto qui a spiegare, mi sono ritrovata a leggere soltanto il finale del libro. Lo conoscevo già, perchè una mia amica, che lo stava leggendo un po’ di tempo fa, me ne parlava!! Ora ho pensato che potrebbe essere divertente provare a tirare fuori qualche pensiero su un libro che in realtà non ho letto!! 😀

    ATTENZIONE!!! CONTIENE INFORMAZIONI SUL FINALE!!!
    SE NON VUOI BRUCIARTI LA LETTURA, INCAUTO AVVENTORE, FERMATI PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI!!!
    HO DETTO FERMATI!!!!!!!!!
    Va be’.. fatti tuoi!! Io ti ho avvisato..!

    Il migliore tra i buoni, solo, alla ricerca dei buoni. Ma in questa desolazione, che si coglie anche da pochissime righe, ci sarà poi qualcosa di buono? Dove l’unica cosa preziosa sembrava essere quel residuo di vita di padre e figlio, reciprocamente custodito, basterà parlare con la mente? In tutto ciò, l’inquietante presenza della rivoltella, che viene presa e non usata, che viene affidata nella raccomandazione di non correre rischi.. e che sembra essere l’unico rischio in un mondo tutto morto. Quanto è difficile sostenere la Vita circondati dalla Morte? Basterà portare il fuoco dentro di sè?
    “Chissà cosa incontrerai lungo la strada.” Questa è la frase urlata dal finale. Un finale aperto: “Ma vedrai che andrà tutto bene”. E quello che mi piace dei finali aperti è che sono sempre libera di pensare al peggio..!

    • Dai…non hai svelato il finale…;) ti devo rimproverare per aver letto solo la fine del libro CATTIVA Noe CATTIVA! Non essere così pessimista nel pensare al peggio. Il salmerino dell’universo ti dice proprio questo: le tragedie saranno sempre insignificanti rispetto al vorticoso flusso dell’esistenza. Boh, a me consola ricordare di essere un bruscolino 🙂

      • Noemi

        Non è pessimismo!! È piacere per i finali tragici!! 😉
        [ATTENZIONE!!!! Continuo a basarmi sulla conclusione del libro!!]
        “Una speranza che viene solo da se stessi, dalla volontà di essere buoni..” Sarebbe diversa la chiave di lettura se questa speranza venisse da altro.. in questo caso, il passaggio da negativo a positivo sarebbe immediato.. cosa che probabilmente è..! Il “Poi ci riprovò” conclusivo dice l’immensa fiducia del bambino nelle parole del padre, fiducia che davvero potrebbe aprire a ottimismo pieno! Dal poco che ho letto, il segreto è nella relazione: la fiducia nel padre dà quella speranza che il bambino non potrebbe trovare solo in se stesso, pieno di paure com’è. Che sia nel padre, che sia in Altro, è questa fiducia a rendere la Vita ancora possibile.
        Ma la passione per i finali tragici, resta!! 😉

      • Sono d’accordo con te, ma nelle ultime righe secondo me l’autore vuole dire qualcosa in più. Vuole ricondurre la speranza, che bisogna cercare dentro di noi e dentro le altre persone, a qualcosa di misterioso e primordiale come la vita. Per questo il finale non è tragico (nel senso tecnico del termine) ma aperto, come dici tu…

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