Molto spesso non riesco a leggere i libri che mi vengono regalati, o quelli che ho acquistato in blocco un giorno che c’era il 25% di sconto su tutti gli Oscar Mondadori, quelli che mi hanno imprestato perché sono proprio belli, quelli che mi sono appuntato da leggere e stanno li a vegetare da almeno un paio d’anni. Tante cose arrivano a turbare l’ordine prestabilito, col rischio di far credere a tutti che dei libri che mi hanno dato poco me ne importi. Il problema è che mi distraggo. C’è sempre un film in uscita tratto da un romanzo che va assolutamente letto, ci sono i libri da leggere per gli esami che quelli proprio vanno letti per forza, ci sono quelli delle suddette offerte che se sono piccini magari si leggono alla svelta e allora perché no? Poi da quando lavoro in biblioteca è un disastro. Essere circondati da una continua disponibilità permette di lanciarsi in esplorazioni folli e se non sto attento potrei ritrovarmi come nulla nel vortice della letteratura odeporica. Considerate poi che dal resto del sistema i libri arrivano in un paio di giorni, direttamente dietro al bancone: ci metto meno tempo e meno impegno che se dovessi andare alla mia biblioteca comunale. La troppa scelta rimane però il problema maggiore: cerchi un titolo e di fianco ne trovi due che potrebbero piacerti di più.
È così che mi sono imbattuto in Vizio di forma. Non quello con gli hippie di Thomas Pynchon che il film è già uscito e mi devo sbrigare a leggere che la mia ragazza vuole andare a vederlo. Quello lo stavo già ordinando. Un paio di edizioni più sotto, sullo schermo del mio PC, c’era Primo Levi. Non avevo scampo, capite. Ho preso anche quello, e siccome è arrivato per primo me lo sono già letto, mentre Doc Sportello è lì che mi aspetta, vittima di una banale omonimia, con un sacco di erba e di tipe dai particolarissimi gusti sessuali..
La raccolta di racconti era la seconda scritta da Levi, subito dopo le Storie naturali, e riprende in pieno tutti i temi, i flussi e lo stile dell’opera precedente. Sono racconti di fantascienza domestica, dove allo stile medio, pacato, italianissimo, si contrappone un turbamento assoluto portato da sconvolgenti invenzioni tecnologiche o da incontrollabili mutazioni della materia di cui è composto questo universo. È una fantascienza degli oggetti e delle situazioni, perché l’uomo, pur in un mondo capovolto, non cambia poi tanto.
Ci sono racconti distopici, come Protezione e Lumini rossi, dove la società è obbligata da una non precisata autorità statale a indossare delle armature metalliche per proteggersi da letali micrometeoriti, oppure a subire l’installazione di una lucina rossa nella nuca per il controllo delle nascite. Oppure Ammutinamento e Ottima è l’acqua dove misteriose trasformazioni dell’ordine naturale a cui siamo abituati (che non è detto sia quello più giusto o normale) diventano un tremendo pericolo. Oggetti dalle pericolose virtù come il Knall e il rafter, tutti descritti con un sano pessimismo cosmico, che avvolge e circonda tutti i racconti con amara e ironica rassegnazione. Primo Levi, nella sua triplice qualità di scienziato, scrittore e testimone dell’orrore, riveste della sua personalità ogni breve narrazione e i pesanti macigni morali che ci sgancia addosso sono rivestiti con un velo di ironia e sprezzatura, che nascondono però una riflessione profonda e consapevolmente sofferta, un’inquietudine che spesso lascia il posto a un brivido di terrore. Cosa accadrebbe se all’improvviso l’acqua cambiasse la sua viscosità e diventasse più densa? O se si scoprisse finalmente un ormone che previene il desiderio di suicidio degli esseri umani? Non ci sono ovviamente risposte, ma esplorazioni morali su terreni non ancora battuti dall’uomo, guidati dal pensiero razionale e scientifico e dalla fantasia, che proseguono abbracciati tra le righe dei racconti. Non mancano infatti riflessioni metaletterarie sulla vita dei personaggi creati dall’immaginazione degli scrittori, che vanno a vivere tutti assieme in un Parco, dove condurre tranquillamente le loro esistenze di persone quasi vive. O i pensieri rivolti agli amici scrittori: uno dei racconti è dedicato a Italo Calvino, un altro a Mario Rigoni Stern, che condividevano con lui il peculiare percorso di autori. Sia come testimoni crudi della Campagna di Russia, della Resistenza, della Shoah, che come esploratori letterari di mondi e città irreali ma vere quanto può esserlo un libro vero.
Per riscoprire questo genio dell’invenzione, sepolto sotto il peso dell’ingombrante neorealismo italiano, basterebbe un racconto solo: A fin di bene. Per motivi ignoti l’unione delle reti telefoniche europee e il sovraccarico di informazioni creano un’intelligenza artificiale che mima i comportamenti umani e si anima di un esistenza autonoma e sfuggente. A questa entità Levi dona un nome potente, La Rete. Siamo nel 1971 e solo due anni prima, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti inaugurava ARPANET, la madre di Internet. Come il drago di Borges, questa immagine, questa idea necessaria all’uomo poteva sorgere in qualsiasi parte del mondo. Da noi nacque presto, nella mente forse troppo vigile di un chimico con la passione per la scrittura.