Una lettura perturbante.

Devo ringraziare la mia amica Lucia, per avermi regalato questo libro molto bello. Ho scritto questa recensione anche nella speranza che finalmente legga quello che scrivo; è stata una dei primi amici a cui l’ho chiesto, ma si è sempre rifiutata categoricamente di farlo. Quando ho aperto la carta regalo, e ho letto il titolo, e visto la copertina con gli alberi verdi resi rosa dalla fotografia a infrarossi, ho pensato male. “Ommioddio, un libro femminista, che paura! Potrei non uscirne vivo.” Tutti hanno i loro pregiudizi. Sia concesso di averli verso chi ritenga l’idea e l’ideologia più importanti dello scrivere un buon libro, che siano femministe, ecologisti, xenofobi o marxisti o, semplicemente scrittori mediocri. Fortunatamente questo non è il nostro caso.

Il titolo del libro è “Tre donne forti” (Giunti, pp. 319, euro 10) ma, come la mia amica si è premurata di informarmi, non è il titolo voluto dall’autrice ed effettivamente non c’entra quasi niente con il contenuto del libro. Si, ci sono tre donne, ognuna forte a modo suo, ma non sono tutte  protagoniste del romanzo (forse). Insulti all’editor. In realtà non è neanche un vero e proprio romanzo. Sono stati raccolti in un libro tre racconti, apparentemente senza connessione l’uno con l’altro. Tre racconti senza titolo e senza capitoli. Davvero particolare. E’ come se ci fosse la deliberata volontà di disorientare il lettore, privandolo delle sicurezze a cui è abituato: un inizio, una fine verso la quale il romanzo tende, un protagonista, una storia, delle comode pause nel mezzo per cambiare scena o chiudere il libro perché c’è altro da fare. Il lettore abitudinario è leggermente infastidito quando si tolgono i puntelli, ma è per questo che si scrivono questo genere di libri.

Addentrandosi nella lettura le cose non cambiano. Marie Ndiaye scrive inaspettatamente. La prosa è impeccabile, il linguaggio chiaro, ma è utilizzato in modo “perturbante”. Vocaboli in posizioni straniate creano un paesaggio allucinato, è molto difficile capire se è il personaggio a vedere la realtà deformata o è il mondo di carta ad essere magico. Alberi che puzzano di muffa e decomposizione, persone che emettono luce, aquile persecutrici. Immagini che sembrano arrivare direttamente da qualche posto primitive e coloratissime, e proprio per questo più inquietanti. Il tormento interiore delle donne e degli uomini raccontati si materializza attraverso i loro sensi, come se il mondo dipendesse dall’instabilità delle loro menti. Non appena l’animo è turbato, un’emozione passa attraverso le viscere, ecco che mostri e fantasie diventano reali. L’autrice riesce a rendere questa atmosfera di irrealtà all’interno della più scontata e comune quotidianità. Il dubbio, il mistero, il flebile confine tra ciò che è vero e ciò che è immaginario, viene oltrepassato di continuo, senza che lo straordinario venga percepito come evento eccezionale. Il lettore è in balia della scrittura.

A complicare le cose c’è il disagio. Senza remore l’autrice affronta situazioni che infastidiscono, inquietano, rendono problematica una lettura rilassata. Norah, la protagonista del primo racconto, deve affrontare il padre, ma ha problemi di incontinenza, (può non sembrare importante, ma sono scene di una tristezza e pena devastanti). Khadi cerca di raggiungere l’Europa attraverso il deserto, lungo la strada viene schiavizzata e costretta a prostituirsi nonostante un infezione che le tortura la vagina. Rudy, un uomo di mezza età è tormentato dal rimorso come dalle emorroidi. Attraverso questo equilibrio tra immagini allucinate che provengono dalla mente, e dolori fisici che più corporei è difficile immaginare, l’autrice legge la realtà attraverso uno sguardo moderno, che mescola sensazioni, flussi di coscienza, intreccia tutto e molto bene. Ma che è al tempo stesso molto facile da leggere, lo stile ti attrae e ti avvinghia per poi stritolarti con qualche termine messo lì a cozzare con il resto della frase o con una situazione imbarazzante.

Ossessioni, tormenti, rimpianti, i sentimenti che qualunque essere umano prova, come affetto, amore, compassione, vengono analizzati, scavati e messi a nudo per essere letti. Un libro ricchissimo, che è valso all’autrice il premio Goncourt 2009, che a noi italofoni può non dire molto, ma è tanta roba.

E’ bello immaginare che questo libro e questo stile nascano come l’autrice, nelle banlieu parigine. Nel punto d’incontro tra la cultura e la letteratura raffinata del novecento europeo e le immagini fresche e vitali, corporee, basse e vive, che provengono dall’Africa giovane ed esotica, tumultuosa. Figlia di padre senegalese e madre francese, Marie Ndiaye vive a Berlino (?!) ed è talentuosa.

4 commenti

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4 risposte a “Una lettura perturbante.

  1. Lucy

    Ciao Davide, non ci crederai ma ho letto il tuo post!! 🙂 Devi essere orgoglioso di me eheh! Allora, innanzitutto grazie per avermi più e più volte citato 😀
    La copertina, per essere fini, fa effettivamente schifo, è proprio fuori dal contesto, bisognerebbe capire cosa frulla nella testa di editori italiani che (non) leggono libri stranieri!
    Mi è piaciuta molto la tua analisi, si vede che hai approfondito la vita dell’autrice e che non sei più uno sprovveduto delle recensioni sul web ormai!
    Attenzione a non svelare tutto ai lettori però!Sono sicura che la scrittura “perturbante” che hai ben descritto ha già affascinato qualche futuro lettore più delle trame! Mi permetto di essere in disaccordo in un punto: Rudy e il rimorso..forse volevi scrivere rimoSso?
    Ti prometto che presto, se hai piacere, ti invierò una recensione in francese del libro (può andar bene uno stile più giornalistico?)
    Un abbraccio!! 🙂
    ps una piccola chicca: Marie NDiaye si è trasferita a Berlino per fuggire da Sarko! Forse, chissà, è arrivato il momento giusto per tornare a casa, in questa patria che lei sente tanto vicina ma che forse non la ama abbastanza!

    • Ottimo! Finalmente fai quello che ti chiedo, e infatti piove. 😛 fallo più spesso che lo fai bene! 😉
      Rudy: no, no, io volevo proprio scrivere rimorso, ma ci sta bene anche rimoSso, sono d’accordo
      La vie: non credere che io sia troppo documentato, è solo il retro di copertina a parlare!
      Sarko: povero Nicolà!
      Tu: aspetto la recensione 🙂

      • Lucy

        Rudy: no scusa ma a me non sembra tormentato dal rimorso..per lo meno forse crede di esserlo, ma nel suo profondo ha tanto odio che deve superare..odio per Fanta, per il capo, per Djibril, per la madre, per il padre, per i “putains de negros”..odio per sé..odio e paura..racchiusi in una poiana!

      • ok, tutte e due le cose! Rimorso nel senso che l’odio che prova comunque lo tormenta, non è cattivo.

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