È la prima volta per me attraverso il parco e oltre l’arco. Non ero troppo sicuro nemmeno che esistesse, una parte del centro di Milano verso nord-ovest. Dopo il lungo percorso a piedi dalla Sormani al parco Sempione, in mezzo alla gente turisti giacche e cravatte, e sotto al sole, sono già sudato e tocca fermarmi a far traspirare un po’ di vapore acqueo. All’ombra di una sequoia idrofila mi fermo e sollevo gli orli dei pantaloni, per portare un po’ di refrigerio alle caviglie; non posso certo arrivare sudato. Guardo nel laghetto pieno di pulcini di gallinelle d’acqua, cosini spiegazzati che pigolano sulle esili zampette. Scopro infine che il parco non ha né cardi né decumani ma si interseca in una follia di strade concentriche, o almeno folle per me che mi ostino a percorrerlo in linea retta. Attraverso svariati prati, gruppi etnici e tribù giovanili: tizi con le trecce, ragazzi filippini tutti con gli stessi occhiali e ragazzi italiani tutti con lo stesso taglio di capelli.
Dopo almeno un’altra pausa traspirazione, arrivo a destinazione. È un vecchio e grande palazzo con un vecchio e grande portone, hanno appena aperto la porticina e io mi infilo subito dentro, dietro a un signore con la camicia a quadri che sembra molto sicuro del fatto suo. Sorrido e saluto, contento che non mi abbiano chiesto nessuna parola d’ordine. Vecchie scale e ascensore nuovo. Non mi ricordo il piano, quindi scale. Scale che sono già occupate da una serie infinita di cartonati di Patterson e Cussler che mi sorridono marpioni PIU’ SUSPANCE! PIU’ AZIONE! sono dei bravi cartonati, fanno il loro dovere. Ogni pianerottolo è una stazione sulla via crucis della mia curiosità: ogni volta che leggo “Salani” o “Longanesi” devo trattenermi dal nasottare oltre gli stipiti che mi porterebbero fuori dalla tromba delle scale e dentro posti dove si sta ancora lavorando. Giunto infin’ al quinto cielo che fui, entro in una piccola saletta, tutta bianca e semivuota, prendo posto e attendo.
Sono qui perché mi hanno invitato, per motivi a me ignoti, a: “Domande e risposte. Autori esordienti pubblicati da importanti editori rispondono a domande e consigliano cosa fare/non fare per essere pubblicati” che è la lezione conclusiva di un corso di scrittura organizzato da GeMS.
Nonostante io abbia una certa allergia nell’incontrare autori che parlano dei loro libri, la serata è stata molto bella. Probabilmente perché dei loro libri hanno parlato pochissimo e molto di più di come hanno fatto a scriverli. Quattro autori quattro esperienze e quattro libri diversissimi tra di loro, la varietà di toni e di impegno e una buona regia hanno fatto scivolare via le due ore di incontro.
Alice Basso, è editor di una piccola casa editrice di Torino e ha scritto questo, dice che tende ad essere logorroica anche quando scrive, lo fa soprattutto perché gli piace farlo e scrive quello che piacerebbe leggere a lei. Vorrebbe leggere, ma i libri si accumulano sul comodino. Il suo libro parla di persone che lavorano coi libri (dice anche che vanno molto, ultimamente).
Stefano D’Andrea ha scritto invece questo e nella vita scrive cose su Facebook. Io seguo già la sua pagina, il gatto morto: ogni giorno una foto del suo gatto. Ha smesso di leggere quando si è accorto che voleva vivere veramente e che copiava soltanto quello che leggeva. Scrive di quello che lo circonda, in questo caso, bambini.
Giuseppe Marotta ha fatto per tutta la vita concorsi pubblici e concorsi lettarari, alla fine gli è andata bene: lavora come ufficiale giudiziario e ha raccolto qui tutte le sue esperienze sulle ingiunzioni di sfratto. Gira con il taccuino e scrive nei momenti liberi dal lavoro.
Lavinia Petti è una neolaureata in Islamistica, insegna italiano ai ragazzini stranieri e ha scritto le prime pagine del suo libro a diciassette anni. 17. Ama fare ricerche e studiare per raccogliere tutto il materiale che poi riverserà nella scrittura. Vuole insegnare e scrivere.
Alice ha detto una cosa molto interessante, su cui anche gli altri hanno convenuto: tutti scrivono anche quando non stanno scrivendo. Sono più o meno attenti osservatori della realtà, da cui suggono l’energia da instillare nei loro personaggi, che altrimenti sarebbero morti come la carta su cui scrivono. Magari una situazione, una smagliatura nel mondo reale possono risolvere la pagina del mondo fittizio. C’è chi fa ricerche, chi guarda gli amici con figli, chi registra i racconti di uno sfrattato e chi fa ricerche storiche sui nomi che dovrà usare, ma tutti guardano e osservano prima di scrivere.
Fuori intanto, sopra i tetti coronati dai comignoli, cominciava il temporale.
Alcuni stanno più attenti a organizzare una struttura e dei personaggi coerenti, mentre altri lasciano che la materia si accumuli per poi passare ore ore e ore a limare, correggere e variare cercando di arrivare alla propria perfezione. Stefano Mauri (proprio lui) a un certo punto interviene citando Terry Pratchett (proprio lui) per sottolineare il delicato lavoro degli editori: «Un secchio di merda è un secchio di merda e un secchio di whiskey è un secchio di whiskey. Ma se io metto una goccia di whiskey nel secchio di merda rimane sempre un secchio di merda, se io metto una goccia di merda nel secchio di whiskey diventa un secchio di merda». Rivolgete la metafora verso i lettori invece che verso l’editore e vi verranno in mente tanti secchi di liquore dal sapore un po’ strano.
Il lettori appunto, non c’erano, e non c’erano per il semplice motivo che la serata era “Domande e risposte. Autori esordienti pubblicati da importanti editori rispondono a domande e consigliano cosa fare/non fare per essere pubblicati” e non un gruppo di lettura. O meglio, erano quasi tutte persone che leggono, credo, spero, ma nessuna che in quel preciso istante fosse lì presente come lettore. Per me quindi, Superlettore (non dico sciocchezze ho un diploma di quando avevo 12 anni), è stata soprattutto una splendida occasione per spiare cosa fanno quelli dall’altra parte della barricata. Osservare e vedere come siano mille le sfaccettature e i gusti non solo di chi legge, ma anche di chi scrive e che molto spesso non ha esattamente me come lettore ideale. Ma qualcun’ altro.
Questa storia del pubblico e del lettore di riferimento sembrava però non interessare più di tanto gli alunni del corso appena finito, le cui domande erano molto più specifiche e circostanziali: «Qual’è stata la tiratura del vostro primo libro?» «Come avete fatto a contattare l’editore?» «Avete da consigliarmi un’agenzia per correggere le mie bozze?» «Avevate una lettera di presentazione?» non sapete quanto mi sono sentito fuori posto (anche giustamente) a chiedere agli autori che rapporto avevano con i libri degli altri e se leggevano mentre scrivevano.
Il temporale fuori era finito, intanto, e i comignoli coronati luccicavano di pioggia.
Finita era anche la lezione, alcuni sono immediatamente fuggiti per non prendere altra acqua, altri si sono fatti firmare delle copie, io mi sono aggirato un po’ tra tutti questi sconosciuti cercando di acchiappare brandelli di conversazione. Ho provato a fare qualche domanda agli alunni, ma sono scappati velocissimi appena ho detto di avere un blog. Ho dovuto tenacemente resistere alla tentazione di rubare un libro da uno scaffale pieno di Guanda mentre nessuno guardava e mi sono infine deciso a scendere le scale, dove Patterson e Cussler mi aspettavano fedeli al loro posto.
Durante il percorso verso la metropolitana ho riattraversato il parco molto più buio, mi sono apparse teste di orso giganti e corridori filosofi. Per decomprimermi ho osservato a lungo i movimenti della colonia felina del Castello e poi giù, sotto terra. Finisce qui un altro articolo di Muninn che non è una recensione, ma resoconto di un piccolo volo lontano da casa, chissà se mi inviteranno ancora, chissà se avrò altre domande da fare.