Non mi sono restati molti ricordi della mia infanzia, o di tutto il resto della mia vita. Tendo a dimenticare molto facilmente tutto quanto, anche per questo scrivo in questo posto. Mi resta però, e spero mi resterà per sempre, la memoria di un viaggio fatto con i miei genitori alle Canarie. Incredibilmente mi porto dietro una quantità straordinaria di dettagli: il cappellino a righe colorate, una valigetta di cartone rossa e gialla dove mettevo i fogli per disegnare e una quantità assurda di pennarelli colorati, la gita al vulcano, il negozio di souvenir vulcanici e il messaggio registrato che avvertiva in tantissime lingue che era severamente vietato asportare detriti piroclastici dalle falde del monte. L’asfalto bollente della pista d’atterraggio. Ma soprattutto c’era l’isola. Non quella dove eravamo atterrati e dove avevano costruito l’albergo dove soggiornavamo, ma quella della piscina. Al centro esatto c’era una struttura piastrellata e riempita di terra, dove crescevano rigogliose piccole palme e arbusti dalle forme strane dai fiori colorati. Non sapevo nuotare e allora pregavo continuamente mio papà di portarmi sull’isola, così da poterla esplorare. Una ben misera esplorazione sul cornicione di una grossa aiuola, ma inspiegabilmente attraente. Nel mio universo di bambino era remota, solitaria e inaccessibile, perché nessuno ci voleva andare. Se stessi scrivendo un’autobiografia potrei dire per certo che erano i primi stimoli naturali ed innati verso la grande passione esplorativa del mio fulgente futuro. Ma non è il nostro caso: le isole continuano a piacermi, ma ne ho esplorate ben poche, dal mio cuscino.
Che fantastica occasione allora, il regalo di Natale della mia ragazza. Con l’Atlante delle Isole Remote di Judith Schalansky (pp. 143, euro 21.50, Bompiani, traduzione Francesca Gabelli) potevo finalmente darmi all’esplorazione immaginativa, sicura ed economica, da sotto le coperte o stravaccato sul divano. E questo era anche l’obiettivo dell’autrice, con cui condivido la morbosa passione per le carte geografiche e le loro lussuriose seduzioni esotiche e immaginarie. Cinquanta tavole per cinquanta isole diverse, accompagnate da tutti i dati topografici necessari, dalla cronologia delle esplorazioni e da un breve racconto, come potrebbe esserlo l’articolo di un blog.
L’Atlante ha vinto dei premi di design ed è stato nominato “Libro più bello dell’anno” in Germania, e il modo in cui è stato confezionato è parte integrante della sua bellezza. Si alternano pochi forti colori: l’azzurro del mare e l’arancione degli insediamenti umani, il bianco punteggiato dei reef sottomarini o la densa pennellata dei ghiacci perenni; mille sfumature di grigio tipografico che di volta in volta diventa roccia, sabbia, scogliera, pianura, rupe, collina, vulcano, fossa, costa, cima. In bianco i nomi delle cose acquatiche baie laghi golfi e insenature, in nero i nomi della terra città vette casupole e capi. Ogni segno topografico è portatore di significato e di elegante bellezza, come i nomi dei fiordi, che si incurvano per seguire il profilo del loro proprietario. Cinquanta forme e dimensioni diverse: lacrime, grossi sassi, pinne, triangoli, salsicciotti, anelli, draghi marini, padelle, asce, arance, o semplicemente isole a forma di isola, un confine frastagliato con attorno il mare. Cinquanta storie, bellissime e uniche, tremende e spietate, di alcune non troverete notizia se non in questo libro. Storie di esploratori e di naufraghi, di scienziati e di avventurieri, di pinguini e granchi. La storia di Amelia Earhart, donna e pioniera del volo, che scompare nel blu dell’oceano mentre la radio invia richiami sempre più deboli. Quella degli ammutinati del Bounty, e delle loro disgustose abitudini. Isole tropicali sommerse e distrutte dall’innalzamento del mare, per colpa del sale che brucia le radici delle palme e rovina la falda di acqua dolce. Colonie penali e spedizioni scientifiche frustrate. Anomalie genetiche trasformate in racconti poetici. Sogni in lingue sconosciute. Brevi squarci, senza pretesa alcuna di esaustività, che vi spingeranno a controllare su Wikipedia per saperne di più. Cosa che vi lascerà profondamente frustrati: molto spesso l’unica fonte sarà solo questo libro.
Un libro da leggere tutto d’un fiato una domenica pomeriggio piovosa, sognando mari cristallini e noci di cocco; oppure una calda mattina estiva, immaginando lontane distese ghiacciate. Questo album di sogni merita di essere letto e riletto, come un libro per bambini, tutte le volte che vorrete. Un biglietto economico per l’incontaminata isola della vostra fantasia. Immersa in cinquanta pagine azzurre.