La luce sopra la brughiera (secondo rapporto del dottor Watson).

Stamattina, quando mi sono svegliato per andare a spostare cose pesanti e pulire cose sporche, c’era la nebbia. Nonostante il posto dove viva si chiami Brugherio, non ha più molto a che fare con una brughiera, che dovrebbe essere una piatta pianura piena di arbusti, torbiere, cespugli e fossi. Anche la bruma mattutina è ormai un fenomeno decisamente raro per le nostre parti, il calore della città non le permette di formarsi. Quando c’è però tutte le strade diventano dei trampolini verso il nulla e quindi per il breve tragitto che mi separa da peso e sporcizia vivo in una nuvola; è piacevole ma non rassicurante. Alla lunga forse è meglio toccare tutti i giorni gli stessi oggetti di materia bruta, piuttosto che rimanere sospesi. L’indeterminatezza o il semplice mistero conturbano, ma alla fine c’è sempre bisogno di qualcuno che sciolga i nodi, che porti la luce nel buio.

Ecco forse perché ci piacciono tanto i romanzi d’investigazione: alla fine c’è sempre qualche tizio che riesce a capirci qualcosa, e non ci importa assolutamente niente di capire come faccia a farlo. Sì, perché ciò che conta è il risultato e tutta la tensione, tutte le strade che portano alla verità passano in secondo piano, rispetto alla sensazione di ordine e tranquillità che ci regala la soluzione del caso. Ogni pezzettino che l’eroe porta fuori dalla nebbia alla nostra vista riporta l’ordine che si era infranto.

“Alle sei la mia ragazza si vestì, si pettinò davanti allo specchio del bagno, si spruzzò addosso un po’ di acqua di colonia, si lavò i denti. Nel frattempo io me ne stavo seduto sul divano a leggere Le avventure di Sherlock Holmes. Il libro cominciava con le parole: «Il mio amico Watson ha poche idee limitate, ma estremamente tenaci». Un incipit strepitoso.”

Questo è quello che racconta il protagonista senza nome in “Nel segno della pecora”, (QUI c’è la recensione). Ed è questo, unito ad uno sconto del 25% su tutti i titoli, che mi ha convinto a comprare “Sherlock Holmes, tutti i romanzi” (Einaudi, pp. 679, euro 19). In modo decisamente arbitrario ho deciso di cominciare a conoscere così uno dei più famosi personaggi di carta che siano mai stati creati. Ero incuriosito soprattutto dal sapere chi fosse realmente Holmes, se l’azzimato gentiluomo inglese intabarrato nel completo scozzese della tradizione, o il nuovo sbarellato casinista interpretato da Robert Downey Junior dei recenti blockbuster. Ecco, nessuno dei due.

La soluzione è alquanto elementare se ci pensa bene, signor Watson. Sherlock Holmes non esiste.  Arthur Conan Doyle ha inventato un personaggio che ha qualsiasi qualità sia necessaria a risolvere un caso. In realtà l’investigatore serve solo a risolvere il caso. Tracce di cenere? É esperto di tabacco e sigari. Sospetto avvelenamento? Ha scritto un trattato sull’argomento. Rissa? Conosce il Basutsu, un’arte marziale che viene dal Cataio. Tutto il resto non conta. Anche il suo amico dottore, altro non serve che a fargli fare bella figura. È una sagoma di cartapesta.

Vengono prodotti libri in serie, tutti con una struttura simile: Holmes e Watson sono in soggiorno, Holmes si fa di cocaina perché si annoia, arriva un caso, un caso difficile, risolve il caso. Magari c’è una sparatoria, o Moriarty mette il bastone tra le ruote, ma si cavano d’impiccio e tutto finisce per il meglio. Conan Doyle che pure è molto bravo a scrivere, ci prova anche ad ammazzarlo, ma fallisce. La creatura oramai è già più potente dell’autore. Superbo, sfacciato, annoiato dall’inferiorità degli esseri umani, decisamente odioso. Ma. Una volta che si comincia a conoscerlo, non si può più fare a meno di lui. Provate a leggere Il mastino dei Baskerville: il famoso investigatore sparisce per gran parte del libro, lasciando il povero Watson solo nella brughiera. Che sospiro di sollievo quando torna, un senso di sicurezza, di conforto. Il metodo deduttivo analitico ci dice che dietro alla bruma i marciapiedi gli alberi e i lampioni hanno ancora la stessa forma. Ci sono ancora. Le leggi della materia sono fisse e invariabili. E chi sa leggerle può guidarci nell’oscurità. Ecco perché non possiamo fare a meno di ammirare Sherlock Holmes, di amarlo. Guardandoci dall’alto, con un sopracciglio alzato in segno di stizza, stringendo tra i denti una pipa puzzolente, ci prende per mano e ci porta fuori dalla nebbia. Anche se solo per un po’.

«Ha mai sentito parlare di Jonathan Wild?»

«A dir la verità il nome mi suona noto. Non è il protagonista di un romanzo? Non faccio molto caso agli investigatori nei racconti – ci sono sempre dei tizi che fanno qualcosa e non si capisce come arrivino a farla. Ma questa è pura fantasia, non realtà»

6 commenti

Archiviato in Canone

6 risposte a “La luce sopra la brughiera (secondo rapporto del dottor Watson).

  1. Bellissimo questo post Davide 🙂

  2. Bella Davide… insomma mi sembra ancora di sentire l’umidita’ di certe brughiere… e come non ripensare alla faccia di Basil Rathbone e a certi VHS in Bianco/Nero.

  3. Io sono una superappassionata del canone di Sherlock 😀 (tornando a Tolkien di cui parlavi uno o due post fa, ci sono i Tolkeniani superappassionati. E poi ci sono quelli come me, gli Sherlockiani :Pe dici bene, né l’inglesotto con pipa e cappellino (che nei romanzi non c’è) né quello del cinema americano rispecchia davvero l’originale.
    Se ti piacciono le trasposizioni, ti consiglio piuttosto quella della BBC, miniserie di questi anni di pochi episodi. (Stanno girando la terza stagione, e in Watson ritroverai un certo Hobbit ;D) E’ una trasposizione attuale, mantenendo l’aspetto scientifico ma con le tecnologie dei giorni d’oggi. Trasposizione, ma fatta molto bene 🙂
    Buona lettura ❤

    • Ottimo! Recepisco il consiglio filmico (se poi mi dici che è prodotto dalla BBC sarà fatto di sicuro molto bene..) e poi ti confesso che manca davvero poco a che io diventi un tuo sodale. 😉

Lascia un commento