Il canto del ragno.

Chiuduno, Bergamo. Il Festival dei Popoli è un incrocio tra una grossa festa paesana e il souk di Marrakech. Mangio un kebab con molto picante, poca carne e praticamente niente verdure. Con calma ci mescoliamo alla folla che ha mangiato kebab con molte più cipolle del mio. Entriamo nel padiglione dove gli espositori mostrano la loro merce. Disorientati dalla quantità di mercanzie, braccialetti, incensi, tessuti colorati, il gruppo si divide. Acquistiamo molto soddisfatti un braccialetto tibetano, molto probabilmente maledetto, al costo di cinque euro e della nostra anima. Mentre passiamo alle altre bancarelle, meditando sul nostro fortunato acquisto e sulla possibilità di essere dannati per l’eternità, va via la luce. Ora pensate a tutto quello che può succedere quando in un locale chiuso, stipato di gente, manca la corrente. Bene, non succede. A pochi metri da noi invece, un paio di africani cominciano a suonare i loro bonghi. Prima lentamente, poi sempre più veloce. Da ogni parte continuavano ad arrivare persone, attirate dal suono martellante, perché il suono c’è anche se non ci si vede. Una vibrazione profonda eccita i nervi, il ritmo ti spinge a muovere i piedi. Nel profondo del continente più vecchio, da migliaia di anni si danza, al suono dei tamburi. Da millenni al buio, illuminati soltanto dalla luce del fuoco e dalle stelle, si balla, si canta e si raccontano storie. Che è sempre un po’ la stessa cosa.

All’interno di un racconto, altrimenti solo un piacevole intrattenimento, Neil Gaiman tocca le radici del mito. E lo fa andando a cercare dove le storie hanno cominciato ad essere raccontate. “I ragazzi di Anansi” (Mondadori, pp.356, euro 16,00) è la storia di un uomo, abbastanza qualsiasi, impiegato in un ufficio londinese come contabile, e abbastanza sfigato. Charles Nancy, detto Ciccio Charlie, ha un rapporto difficile con il padre, con la madre della fidanzata, con il suo lavoro. Ovviamente a scombussolare la sua noiosa ma placida esistenza arriva tutto d’un tratto una serie di notizie sconvolgenti: il padre è morto, Ciccio Charlie ha un fratello, e ci sono delle strane complicazioni dovute al fatto che il suo defunto genitore è un dio. Subito seguono una serie di inspiegabili quanto imbarazzanti situazioni causate dal fratello, che mortificano il nostro protagonista fino al limite della sopportazione. La quarta di copertina dice: “Un fratello diverso da Charlie quanto il giorno lo è dalla notte, che gli insegnerà il modo per “lasciarsi un po’ andare” e per divertirsi, proprio come faceva il Caro Vecchio Papà.” Non succede niente di tutto questo. L’esuberante fratello distrugge in pochi giorni le poche certezze della sua vita, lavoro, fidanzamento e rapporto con il reale, perché anche lui è decisamente divino. Non c’è limite al peggio, e tra le sventure di Ciccio Charlie arrivano anche i vecchi nemici del padre, i nemici della discendenza di Anansi. Nonostante il blurb del Washington Post dica: “Il suo libro più ricco, più dark”, di gotico o di oscuro non c’è troppo e all’orizzonte si profila sicuramente un lieto fine.

La trama è tessuta con abilità, Gaiman riesce a combinare l’intreccio delle varie storie con coscienza e un umorismo tipicamente inglese. A differenza dell’autore a cui somiglia tanto per scrittura e tematiche Douglas Adams, le sue storie vanno a finire da qualche parte. L’unico vero difetto è quello di non saper caratterizzare al massimo i suoi personaggi e le sue ambientazioni, sembrano semplici marionette, con qualche attributo e qualche funzione utile alla storia, ma nessuno di quei tratti che incidono la memoria. Forse l’autore voleva fondere il mito e le storie leggendarie con la vita contemporanea. Non ci riesce fino in fondo. Rimane sempre troppo in superficie, e la fusione non è completa.

Ma a salvare il libro ci sono delle piccole schegge. Quando il libro esce dai binari narrativi, e si perde nella densità della fiaba e del mito, l’autore dà il meglio di sé. Pagine che affiorano dall’eternità e spiegano, come si raccontano le storie ai bambini, cosa c’era prima dei libri. Prima delle pagine scritte virtualmente immutabili, c’era chi queste storie le possedeva, e le cantava. Anansi il ragno, è il cantore, lo sciamano, che inventando una storia crea il mondo che la contiene. E non importa se cambia un dettaglio del racconto o una strofa della canzone, l’importante è conoscere la melodia. E’ il ricordo di quando nelle oscure notti dell’Africa, sotto le stelle e davanti al fuoco, si superava la paura del buio e della Tigre che lo abita. Il cacciatore cantando e ballando insegnava al bambino come si possa sopravvivere nella foresta senza artigli e zanne affilate, di come si può entrare nelle mura di una città fortificata senza usare le spade, di come si sfugge a Compare Orso e Compare Volpe con l’aiuto di un manichino di pece, di come ogni cosa ha un prezzo.

7 commenti

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7 risposte a “Il canto del ragno.

  1. Diciamo che i romanzi di Gaiman (oltre ai Ragazzi di Anansie, bisogna citare almeno Nessun Dove e American Gods, che coi Ragazzi condivide la tematica degli ‘antichi dei che girano per il mondo’) sono per gli appassionati una gustosa appendice a quello che è il suo vero capolavoro: il ciclo di fumetti di Sandman. Interessante, a proposito, quello che scrivi
    sulla ‘caratterizzazione’: reinterpretando si potrebbe quasi dire che ai personaggi di questi libri manchi proprio quella ‘dimensione grafica’ compiuta che invece caratterizzava quelli del fumetto. Il consiglio, comunque, è di leggere almeno uno dei volumi della saga di Sandman, per poter avere un’idea più compiuta delle potenzialità dell’autore…

    • Grazie del consiglio, provvederò appena avrò tempo, questa estate probabilmente. Il libro è stato scelto in attesa dell’arrivo nella mia biblioteca del tuddetto “American Gods”, consigliatomi da un’amica. Sono all’inizio della scoperta di questo autore, e con le prossime letture vedremo se merita…per quello che ho visto sulla pagina di wikipedia (brevemente e di fretta) mi fido del tuo consiglio. Visto che sono anche pigro, consigliaci un link dove si possa dare uno sguardo al fumetto! Grazie

  2. Finalmente Bovati, questo post mi piace parecchio, anche se le virgole…
    E’ normale che i personaggi non siano molto caratterizzati, peccando di tracotanza credo che a Gaiman interessi altro rispetto agli “uomini di carta”, è molto più attento sulla dimensione metatestuale (bellissima la dedica) e quella mitica, soprattutto quest’ultima. Ogni dettaglio, anche quello più insignificante trova una sua combinazione all’interno della storia, cosa che manca nel libro di Douglas. Ovvio che merita!

  3. Ciao Davide, bello questo pezzo 🙂

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