Tra proiettili e messicani, un’intuizione.

Al Santa Fe Institute ogni tanto dei cervelloni si ritrovano e si scambiano un po’ di pettegolezzi scientifici. Discutono su come il mondo potrebbe finire, delle conseguenze dell’eugenetica, delle ultime novità della bioingegneria, ogni tanto giocano a scacchi e, se la temperatura lo richiede, bevono una birra fredda. Possono farlo in tutta tranquillità. Santa Fe è una tranquilla città di provincia, in una zona tranquilla come può essere la parte di New Mexico più lontana dalla frontiera messicana. Le case della città sono in stile Pueblo, come quelle dei film western, l’intonaco bianco o giallo e le travi che spuntano dai muri di mattoni. A parte qualche chiesa, una missione spagnola (ah! la “vecchia missione spagnola”!) e un palazzo dei governatori che assomiglia a una stazione di servizio, a Santa Fe è tutto molto recente. Ma, come spesso succede in America, lì le cose e le persone invecchiano abbastanza alla svelta e la via centrale coi negozi non sembra più di tanto la copia disneiana di un villaggio Anasazi. I muri sono di mattoni veri e non in fibra di vetro. Tra gli ospiti abituali dell’istituto c’è Cormac McCarty, il famoso scrittore. Quando non parla al telefono con suo fratello dell’estinzione del genere umano, trova piacevole discorrere con altri cervelloni dei massimi sistemi. Si pongono le stesse domande che ci facciamo noi, solo che loro, essendo cervelloni con un QI superiore alla media, provano a darsi risposte sensate. Non dico che riescano, ma tentano.

Cormac è lì, ascolta, interviene, medita. Il suo, e quello dei suoi sodali, è un mondo rigoroso, scientifico. Crudo e reale. È un mondo dove i vecchi sceriffi sono stanchi di fare il loro lavoro, stanchi nelle gambe quanto nel cuore, dove chi è buono ma stupido perde e chi è cattivo ma intelligente vince. È un mondo tutto sommato semplice e comodo, sei sicuro nelle tue certezze derivate dalla statistica, dal calcolo scientifico e dall’analisi rigorosa. Se non c’è cibo anche gli umani si mangiano tra di loro. Se hai una buona percentuale di rimanerci secco, è quasi certo che succederà.

Non è un paese per vecchi (Einaudi, pp. 251, euro 17) è un altro buon libro di McCarthy. Come già in Figlio di Dio e La strada non ci risparmia dettagli crudi e scene raccapriccianti, magistralmente raccontati con il suo caratteristico stile asciutto, rapido ed estremamente denso. Si può forse rimproverare all’autore di amare con troppa passione scene truculente e personaggi cinici ma, a pensarci bene, l’autore compie una scelta: decide di raccontare in un romanzo quello che tutti i giorni si sente alla radio, si legge sul giornale, si vede alla tv. Senza filtri? È pur sempre un romanzo, tuttavia i fatti raccolti in questi libri sono successe o potrebbero succedere. Magari lontano, nella Mongolia Esterna. Una carotide tranciata però proietta il sangue sempre allo stesso modo. È capitato, funziona così, perché non scriverlo?

Qui invece siamo in Texas, tra corrieri della droga messicani e motel sudici, ragazzine che crescono troppo in fretta e grossi uomini che mangiano grosse bistecche. Nei negozi di vestiti si comprano cappelli Stetson e stivali, non perché sia figo essere un cow boy, ma perché il sole batte forte sulle teste e le surriscalda, i sassi sulla strada spaccano le scarpe. Il Destino o chi per lui, intreccia le vite di tre uomini, mai per caso. Un reduce del Vietnam molto fortunato (o sfortunato), un sicario psicopatico (o saggio), uno sceriffo troppo vecchio (o solo codardo). In questo mondo di carta chi si ferma a lottare contro una forza superiore soccombe, chi si arrende vive.

Il libro parla del destino, delle nostre scelte e di come alla fine siano la stessa cosa. Viviamo in un flusso, in mezzo alla corrente, e i molteplici universi che potrebbero esistere muoiono ancora prima di nascere. Alla fine il corso del fiume è uno solo. È difficile da pensare, come puoi ragionare di una cosa del genere? L’uomo medio di sicuro non ci riesce. Qualcuno, magari quelli del Santa Fe Institute riescono ad arrivarci vicino. I mistici nel medioevo, i monaci buddisti, Dante nel Paradiso. Ci saranno arrivati per un momento, la verità li ha sfiorati come un velo di seta, per poi lasciare solo un ricordo sbiadito, un alone di grigio. L’intuizione McCarthy te la regala sempre all’ultima pagina. Un sogno, un pesce, un bambino che assomiglia a un mostro. Per un attimo credi di aver capito tutto, sì ecco, quella cosa lì, che…spiega…tutto ha un senso. Poi però il libro finisce, chiudi la copertina e quella sensazione pian piano svanisce. Credi di aver capito ma non ne sei sicuro.

Magari McCarthy è un truffatore e ha messo il salmerino dell’universo e l’antenato con la fiaccola di corno nei suoi libri per conturbare il lettore e circuirlo. Potete anche leggerlo come un semplice thriller: si muore tanto, si spara tanto, proiettili e battute sagaci. È bello comunque.

14 commenti

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14 risposte a “Tra proiettili e messicani, un’intuizione.

  1. Dove lavora? …. Il film mi è piaciuto molto, anche se a dirla tutta non ho ben chiaro il messaggio che passa… Sento che un messaggio c’è… ma quale sia… è un po’ confuso… Forse se ci fosse stato Jhon Wayne allora avrebbe avuto tutto un altro sapore!!! =D
    Seguendo le tue indicazione aggiungerò il genere western alla mia lista di cose da leggere… Dici che c’è un libro che racconta la storia di due fratelli razziatori di cavalli che sono noti in tutto il paese per essere veloci pistoleri? Potrebbero avere ad esempio un soprannome, un soprannome che li porta già nella leggenda… chennesò: la mano destra e sinistra del diavolo??? Eh che ne dici?? Un libro così c’è?? 😉

    • Ahahahahahah l’ho sentito dire anche io…:) ma non sarebbe di sicuro bello come il film 😉 McCarthy ha scritto anche una triologia di libri ambientati proprio nel Far West…appena li leggo ti faccio sapere 😛

  2. Marten

    Bella recensione!
    Concordo con quanto hai scritto.

    Ritornando al confronto con il film credo che la differenza sostanziale sia nel ruolo dello sceriffo.
    Nel film non ben definito, mentre nel libro (parte scritte in corsivo) McCarthy sembra quasi immedesimarsi trasmettendo ai lettori tutte le perplessità verso la società di oggi rispetto a ieri e sulle certezze della vita.

    Poi un accenno allo stile di Cormac; asciutto ed efficace.

    La trilogia della frontiera è pronta sul comodino per essere letta, e mi sa che dopo un Asimov sarà il suo turno. 😉

    • Grazie! 😉 Non sarei così incline però a trovare nello sceriffo Bell una completa incarnazione dell’autore..McCarthy scrittore sembra voglia sempre tenersi fuori da qualsiasi collocazione, lasciando indistinto il “partito” per cui patteggia. Come nel caso del testo teatrale di Sunset Limited (interpretato e prodotto x la tv proprio da T.L.Jones, tra l’altro). A volte addirittura penso che l’autore sia più vicino a Chighur che allo sceriffo. Ultimo, le perplessità sulla società di oggi: per me McCarthy vuole farci capire che non è cambiato niente nella società in 200 anni e il Texas non era e non è un paese dove i vecchi possono avere un posto. Questo autore rende così tanto nonostante lo stile secco e asciutto proprio perché apre molte possibilità di lettura, che non per forza devono concordare. 🙂

  3. Simone Riva

    “Non amo in particolare la letteratura americana moderna. Non a caso l’americano McCarthy è uno scrittore che di americano non ha nulla” (MM)
    Capolavoro.

    • Non so cosa rispondere al Magno MM, ma sai…lui dice tante cose…un po’ di America c’è…forse è distante dal tipico romanzo americano tipo Gatsby, ma l’America è un grande paese e c’è sempre stato posto per tutti. In “Figlio di Dio” https://davidebovati.wordpress.com/2013/02/12/nascosto-sotto-la-neve/ in una delle scene finali cita indubitatamente la Dickinson e poi tutta quella natura…McCarthy è americano, ma alla Emerson. Ossequiosi però non indugiamo oltre, la nostra conoscenza della letteratura americana “moderna” non è così approfondita da poter anche solo pensare di poter rivaleggiare con quella dell’Immenso. 😉

  4. Avendo visto il film dei fratelli Coen non sono ancora riuscita ad affrontare il libro. Ma probabilmente un giorno lo leggerò, perché adoro lo stile di McCarthy. Allo stesso modo adoro anche Javier Bardem, che nei panni del sicario psicopatico ha dato il meglio di sé.

    • “Dove lavora?” 😀 Vista la bravura di interpreti e registi ci troviamo in uno dei rari casi in cui il film potrebbe superare il libro…se non fosse per qualche taglio di troppo. In ogni caso aspetto con trepidazione “The Counselor” con un Bardem completamente trasformato. 😉

      • The Counselor l’ho recensito: https://wwayne.wordpress.com/2014/01/23/si-salvi-chi-puo/. Sei d’accordo con ciò che ho scritto?

      • Mah a me non è piaciuto granché. Carente proprio dove meno te lo aspetti, ossia la sceneggiatura di McCarthy..

      • Purtroppo McCarthy si è illuso di poter piegare il cinema alle sue esigenze, quando invece era lui a doversi piegare alle esigenze del cinema. Il suo flop commerciale conferma un pensiero che ho da tempo: ogni mestiere ha la sua professionalità. E quindi uno scrittore non può improvvisarsi sceneggiatore, nonostante la notevole affinità tra i due lavori.
        Ad ogni modo, anche se McCarthy non ha capito proprio niente del cinema, il suo The Counselor tutto sommato mi è piaciuto abbastanza. Ma va detto che sono un palato poco esigente, come puoi dedurre da questa classifica: https://wwayne.wordpress.com/2014/06/19/i-10-film-che-tutti-odiano-tranne-me/. Grazie per la risposta! 🙂

      • Si, ho letto tra i commenti…Non sono certo uno che si schifa, il problema era proprio l’attesa suscitata da altre traduzioni cinematografiche.

      • Eh, in effetti Non è un paese per vecchi e The Road hanno generato delle aspettative pazzesche intorno a McCarthy. E non è sicuramente facile svolgere un mestiere creativo quando sei attorniato da tutta questa pressione. Ad ogni modo, ribadisco che secondo me è soprattutto un problema di scarsa adattabilità di McCarthy alle esigenze di un medium diverso da quello letterario. Corro a risponderti sul mio blog! : )

      • Si, hai ragione..anche i suoi lavori teatrali sono ni.

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