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Gallery #1

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QUESTA è una gallery appena pubblicata da Il Post. E’ una serie di meravigliose fotografie a colori della Russia pochi anni prima della Rivoluzione d’Ottobre. Forse quella grande avventura chiamata “Il Grande Gioco” era finita, ma in queste immagini si può vedere cosa spinse migliaia di uomini, ufficiali spie o semplici esploratori, russi e inglesi, a contendersi per più di un secolo un’area vastissima. Si può quasi pensare che a spingerli non fosse l’amore per la patria, per il successo o la ricchezza ma un’incontrollabile curiosità, che voleva giungere là dove solo le fiabe e i racconti erano arrivati. Sceicchi sanguinari, palazzi dai colori sgargianti, città nascoste nel deserto, valli incantate.

QUI ci sono le loro storie.

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Vecchi e nuovi giocatori in Asia Centrale

Tre anni fa la Russia portava la guerra in Georgia, otto anni fa la coalizione guidata da U.S.A. e Gran Bretagna attaccava Saddam Hussein, dieci anni fa cominciava una guerra in Afghanistan di cui non si vede tuttora la vera fine, e oramai trent’anni fa crollava l’Unione Sovietica, senza quasi far rumore nelle profonde distese dell’Asia Centrale.

Ciclicamente l’attenzione internazionale ritorna su queste immense distese semidesertiche, schiacciate tra le catene montuose più alte e aspre al mondo. Viene quasi il dubbio che non bastino ferrovie e canali d’irrigazione per portare la “modernità” in zone così isolate dal resto del mondo. Le nuove repubbliche presidenziali a partito unico non sono altro che la reminescenza degli antichissimi canati musulmani che per secoli hanno dominato le città lungo la Via della Seta. Il presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbayef, si è appena concesso una piramide, come un faraone. Governi con il pugno di ferro si alternano a vaste zone dominate dall’anarchia tribale, senza soluzione di continuità, dal Caucaso al Karakorum.

Ma arretratezza politica non è sinonimo di arretratezza economica. Le città ,dopo secoli di abbandono delle rotte commerciali, rinascono grazie alla ricchezza dei tempi nuovi: le risorse energetiche. Petrolio e gas naturale, principalmente, ma anche oro, metalli pregiati, uranio. Non ci sono più immense carovane che portano le preziose spezie dal Cataio all’Europa, ma si progetta un nuovo oleodotto, per lo sfruttamento del più grande giacimento vergine di petrolio. Samarcanda, Taskènt, Merv, e le altre capitali dai muri di fango e sassi si arricchiscono di quartieri residenziali, che sfidano la maestosità della tomba di Tamerlano.

Questo mosaico di stati, di dittature, di capi tribali, è l’ambientazione giusta per qualsiasi romanzo di spionaggio, e molto probabilmente ogni giorno si confrontano su questo campo da gioco gli inviati delle potenze mondiali. Agenti della CIA, ufficiali dell’esercito cinese, mercenari ex-KGB, imam sauditi, trovano le condizioni ideali per mettersi in mostra e guadagnare un passaggio di carriera; ufficiali corruttibili da corrompere, informazioni segrete da trafugare, personaggi scomodi da eliminare: tutto il necessario per una nuovissima epopea di romanzi d’avventura. Solo che, come sempre, la storia si ripete, e tutto questo è già successo. Per duecento anni l’orso russo e il leone inglese si sono combattuti, senza mai (o quasi) incontrarsi, in mezzo alle steppe e ai passi di montagna, attraverso deserti incandescenti e nevi perenni. Ufficiali dell’esercito britannico e cosacchi russi si contendevano a distanza l’amicizia di questo o quel monarca assoluto, a rischio della vita, a maggior gloria dei rispettivi Imperi e della propria. Un affresco eccezionale di questi avventurieri lo dipinge Peter Hopkirk nel suo oramai classico “Il Grande gioco” (Adelphi, pp. 632, euro 32), che percorre la conquista dell’Asia Centrale dall’epoca dello zar Pietro il Grande fino alla prima guerra mondiale. Con uno stile che oltrepassa di gran lunga il saggio storico, Hopkirk non viene meno alla mole e alla precisione della sua ricerca (l’infinita bibliografia ne è un indizio), ma riesce a realizzare con la capacità dei migliori romanzieri, una narrazione piacevole e scorrevole, che quasi annulla il peso delle seicento e più pagine. Ripercorre con sapienza tutte le fasi dello scontro attraverso le storie degli uomini che giocarono al “Grande Gioco”, espressione coniata da uno di loro e immortalata da Kipling, senza mai annoiare o dilungarsi in noiosi elenchi di cifre. Ed è questa la forza dell’opera: si è subito immersi nelle storie dei personaggi, resi freschi e vivi grazie anche alla parola dei protagonisti stessi, raccolta dall’autore nella sterminata produzione di autobiografie e racconti di viaggio prodotta da questi soldati, mercanti e spie.

Degni dei migliori romanzi d’appendice, questi esploratori dell’ignoto escogitavano i più abili stratagemmi per poter entrare in territori dove gli stranieri erano considerati diavoli: travestimenti, doni preziosi, strumenti camuffati, e, quando tutto questo non bastava, la minaccia delle armi. Ma il Grande Gioco era pericoloso, e molti dei suoi partecipanti morirono mentre muovevano l’ultima pedina. Il colonnello Charles Stoddart e il capitano Arthur Connoly furono decapitati, dopo mesi di terribile prigionia, sulla piazza principale di Buchara. Aleksandr Griboedov, ambasciatore russo a Teheran, fu decapitato dalla folla inferocita. Sorte identica toccò ad Alexander Burnes che, dopo aver attraversato a piedi deserti e altipiani rocciosi, morì a Kabul, assediato dagli afghani bramosi di vendetta, nella sua stessa casa. Briganti, sicari, indigeni ostili, traditori dietro ad ogni sasso, ma nonostante tutti questi pericoli ogni volta un giovane (molto spesso più che ventenne) ufficiale partiva verso fiumi leggendari per mapparne il corso e trovarne i punti attraversabili, o attraverso il tetto del mondo per scoprire se un esercito poteva per caso passare di là.

Chi riuscì a tornare a casa divenne un eroe, ricevuto dallo Zar o dalla regina Vittoria, e alimentò la fantasia di generazioni di ragazzi tanto quanto le imprese tropicali di Livingstone o le avventure fantastiche di Jules Verne.

Hopkirk riesce a farci vivere le avventure di questi uomini, inglesi e russi, ma anche indiani del Native Indian Army e mongoli dell’esercito irregolare cosacco, seguendoli passo passo, ma senza dimenticare quanto succede in patria: il panico per una possibile (forse) invasione dell’India, che a tratti invadeva le sale di Whitehall, e la frustrazione che dominava a San Pietroburgo per ogni battaglia persa non possono non farci pensare ai nostri tempi. La paura, più o meno pretestuosa, del possesso di armi di distruzione di massa può favorire lo scoppio di una guerra; il timore che la rinata Repubblica Federale Russa possa essere di nuovo accerchiata fa muovere i carri armati nelle valli del Caucaso. Un libro imprescindibile per chi vuole avere una visione chiara di quello che accade oggi in quell’area, e forse anche in futuro; un libro affascinante anche per chi vuole sapere chi si nasconde dietro ai personaggi della fantasia di Salgari o Verne; una lettura davvero per chiunque trovi nella lettura la migliore avventura.

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