La seduzione della vendetta.

«Io sono…», gli disse all’orecchio. «Io sono…».

E tra le labbra, appena dischiuse, si fece largo un nome proferito a voce così bassa che il conte sembrava aver paura di udirlo egli stesso.

L‘isola di Montecristo è l’isola più solinga dell’Arcipelago Toscano. Spoglia e rocciosa, ha resistito a innumerevoli tentativi di colonizzazione, nemmeno gli eremiti riuscivano a restarci a lungo. Una leggenda raccontava che un tesoro immenso fosse nascosto sotto l’altare della chiesetta di S.Mamiliano: ebbene è stato trovato recentemente, in una chiesa dedicata a S.Mamiliano, ma sulla terraferma. Per fortuna il tesoro è stato trovato pochi anni fa perché altrimenti, per qualche strano caso del destino, non avremmo mai avuto Il Conte di Montecristo (Feltrinelli, pp. 1066, euro 15). Alexandre Dumas avrebbe potuto scrivere Il Marchese di Cecina, o Il Barone di Poggibonsi, Il Duca di Colle Val d’Elsa o magari il Valvassore di Monteriggioni.

Per fortuna non lo ha fatto e ha scelto questo nome per uno dei personaggi più grandi della letteratura francese e mondiale di tutti i tempi. Nonostante non sia mai stato amato dalla critica e collocato sempre dopo Hugo e Flaubert dai più accondiscendenti, Dumas continua a dominare incontrastato l’immaginario di migliaia di lettori in ogni parte del mondo. Come mai? Non si riesce a capire. Anche i critici che lo hanno apprezzato e continuano ad apprezzarlo da più di cent’anni si scusano quando ne parlano, si sentono un po’ in imbarazzo ad elogiarlo. Dicono: «si, lo leggo, ma solo per riposarmi e divertirmi un po’…». Umberto Eco, che pure ha infilato Dumas dentro al suo ultimo romanzo, ha dichiarato al riguardo:

Il Conte di Montecristo è senz’altro uno dei romanzi più appassionanti che siano mai stati scritti e d’altra parte è uno dei romanzi più mal scritti di tutti i tempi e di tutte le letterature.

Non ci si sbilancia. Eppure, in quelle mille e più pagine che lo rendono a tutti gli effetti un SuperMattone, c’è la scintilla della vita.

Edmond Dantès, prima di morire e lasciare il posto al Conte conduceva una vita tranquilla e beata, buono, onesto, amorevole, affezionato al padre, alla promessa sposa Mercedès e agli amici. Pure belloccio, futuro assicurato dall’abilità nel comandare le navi. La noia assoluta. Per nostra fortuna si complotta alle sue spalle e lo condannano ad una vita rinchiuso tra i muri di una prigione. Dantès ritorna dall’Inferno per vendicarsi, e la vendetta sarà tremenda. Terribile, inaffondabile, il Conte di Montecristo è sopravvissuto solo grazie al desiderio di vedere soffrire i suoi nemici e di sprofondarli negli abissi della disperazione. È tornato, ricchissimo, coltissimo, fichissimo, con un piano per eliminare gli amici di un tempo nel modo che più si conviene, per farli soffrire dove fa più male. Per interi capitoli ha sofferto la fame, la sete, ha cercato di lasciarsi morire, ha rischiato di uscire di senno, la ricompensa per essere sopravvissuto è l’investitura divina, la possibilità di diventare il giustiziere di Dio in Terra. Con gusto sadico si assiste alle evoluzioni, ai balletti di Montecristo nel mondo: si traveste, da commerciante inglese, da abate italiano, conosce i veleni e conosce le medicine, sodale coi banditi romani e oppiomane, ogni piccola azione è parte di un disegno più grande, progettato per anni e anni niente, anche volendo, può sfuggire alla rete del Conte.

Dumas disegna con abilità indiscussa personaggi indelebili, ci porta in mezzo agli intrighi e ai tradimenti della Parigi di metà ottocento, ci presenta mogli avvelenatrici e figli illegittimi di uomini di nobile schiatta, criminali incalliti dei bassifondi e raffinati giornalisti, amanti e cocotte, con la delicatezza di una citazione classica insinua anche il rapporto omosessuale tra una ragazza e la sua insegnante di pianoforte. E siamo ai tempi di Garibaldi e Cavour. Che prurigine! Che suspance! Dumas sarebbe stato un perfetto sceneggiatore di telefilm, se si pensa che all’epoca della sua pubblicazione il Conte di Montecristo si leggeva a puntate.

Nonostante questo libro sia un’opera popolare (in tutte le accezioni del termine) ci da anche la possibilità di imparare qualcosa che non ha a che fare ne con la ricchezza ne con la vendetta, anzi. Montecristo ci racconta della sua guerra ma ci insegna il perdono.

7 commenti

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7 risposte a “La seduzione della vendetta.

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  2. Carmelo

    Di questo classico ricordo la citazione di Ezio Greggio nel film Selvaggi: “Sono tornato, come il conte di Montecristo” eheh, pensa che mi appassiono a volte a certi classici semplicemente per citazioni, adoro le pellicole citazioniste

    • Sicuramente Il Conte di Montecristo è una delle opere più pop della letteratura mondiale, ne hanno tratto persino un manga! Ma da qui a definire selvaggi una pellicola citazionista..! 😉

      • Carmelo

        No, Selvaggi non è una pellicola citazionista, ma i film di Tarantino sì 🙂

      • 🙂 piacciono molto anche a me! E il pezzo in cui in Django Inchained il dottore dice che Dumas era nero è uno dei miei preferiti! 😉

  3. Athenae Noctua

    Per me “Il conte di Montecristo” è uno dei libri migliori mai pubblicati sia per tecnica narrativa che per storia. Ecco perché ti faccio i miei complimenti per questa vivida recensione, perfettamente in linea con la suspance del romanzo! 🙂

    • Grazie!! E’ incredibile, come dice anche Eco, che un libro così bello sia anche uno dei peggio scritti al mondo…chissà cos’avremmo tra le mani se Dumas si fosse impegnato un po’ di più! 🙂

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