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Los Tres Caballeros.

tres-caballeros-los-img-3085Chi segue con devota assiduità questo blog avrà notato tra alcune delle ultime recensioni un sottile filo rosso, o come dicono i francesi: fil rouge. O come dicono i tedeschi: Rotdraht. Una remota popolazione del caucaso non distingue il colore rosso dagli altri e lo indica generalmente con Maragagandu…dicevamo. Una piccola ricerca mi ha permesso di scoprire come tre libri fossero imparentati fra di loro: nell’enorme e infinita biblioteca dello scibile umano questa connessione può risultare ridicola, microscopica e insignificante. Ma dopo averla trovata quasi per caso sono stato felicissimo di seguirla. Tre autori differenti, diversissimi per stile, fortuna, tecniche espressive e poetica, accomunati dal magnetico fascino per le distese polari e i misteri che si celano oltre il novantesimo parallelo. Andiamo a scoprire i nostri protagonisti.

Il capostipite.poe-in-shades-fb-rachel-earling-hopson

Nella sua vita breve e travagliata Edgar Allan Poe trova il tempo e la voglia di scrivere un solo romanzo. Considera questa forma espressiva troppo lunga e dispersiva per catturare l’attenzione del lettore. Nonostante questo Le avventure di Gordon Pym è uno dei più straordinari romanzi d’avventura mai scritti. Avvincente e sottile, la struttura narrativa di questo libro è sorprendente e anticipatrice. Dalla ribollente immaginazione di questo scrittore nascono immagini così potenti da ispirare gli altri due caballeros. Il suo genio riempie gli spazi vuoti della mappa polare come Marco Polo le distese del Cataio, popolandole di esseri e forme bizzarre, di luoghi misteriosi e pieni di meraviglie nascoste.

QUI potete leggere la recensione.

Lo scienziato.tumblr_lslpuveVrG1r4qbsro1_500

Jules Verne non nascose mai la sua ammirazione per lo scrittore americano, alcuni dei romanzi pubblicati nella serie Viaggi Straordinari sono direttamente ispirati ai racconti di Poe. Ma con La Sfinge dei ghiacci Verne fa molto di più, scrive il seguito delle avventure di Pym. Ma lo fa a modo suo, ripercorrendo la stessa rotta con un atteggiamento diverso: non è più il racconto misterioso di un avventuriero ma il preciso resoconto di un geologo, uno scienziato positivista, per cui ogni mistero può essere risolto con la forza della ragione e dell’esperienza. E’ un ingegnere gestionale con la passione per le avventure in dirigibile. Eppure anche in questo libo i misteri e le domande lasciate senza risposta non mancano.

QUI l’altra recensione.

Il matto.HP-Lovecraft

H. P. Lovecraft, se fosse vissuto ai nostri tempi. sarebbe uno di quegli stramboidi che contattano i blogger per promuovere i loro e-book strampalati e sgrammaticati. Non ci possiamo fare niente. Alle montagne della follia è scritto male. Anche se siete dei fan e non potete arrivare a tanto, dovrete ammettere che non è tra i più riusciti. Pensato come il suo vero grande debutto nel mondo delle lettere, si trasformò in una cocente delusione, ponendo fine alle sue ambizioni di scrittore, nonostante il meglio della sua produzione sia tra le cose scritte in seguito. Pieno di continui e fastidiosi riferimenti al ciclo del Necronomicon e con una varietà di desrcizioni e sinonimi degna di un libretto d’istruzioni, questo libro, inspiegabilmente, attrae. E non sono i mostri schifosi, gli alieni terrorifici, l’ansia claustrofobica. Sono le montagne. Delle montagne altissime, meravigliose e paurose. Tutte le montagne fanno quell’effetto viste dalla pianura. Ma queste montagne, alte più di 10.ooo metri nascondono orrori e segreti senza nome, che annichiliscono proprio perché non vengono mostrati o nominati. Nonostante Lovecraft faccia di tutto per rendercele antipatiche ricordandoci un milione di volte quanto “ricordino l’abominevole altipiano di Lang” loro stanno lì e continuano a spaventarci.

Questi tre autori sono considerati “di culto”. Significa che hanno dei fan-club e della gente mette le loro facce sulle magliette con più disinvoltura di quanto facciano con quella che so, di Primo Levi. Sono letti con ardore anche da personaggi che altrimenti non leggerebbero nient’altro nella vita e trovano accoliti fedeli al limite dell’integralismo. Forse con l’eccezione di Poe sono drammaticamente ignorati da una certa cultura accademica, proprio per i limiti stilistici di cui abbiamo parlato sopra. Ma non è questo a renderceli così simili e così preziosi. E neppure Gordon Pym o il sinistro «Teke-li! Teke-li!» che riecheggia o meno sulle distese ghiacciate delle loro pagine. E non è il Polo Sud e non la neve o le montagne. E’ il mistero. Il non detto, lo spazio bianco sulla carta, la pagina intonsa, lo sguardo fuori campo, il racconto interrotto. I nostri tre cavalieri hanno imparato che non è la loro fantasia a conquistare definitivamente il lettore, non sono mostri, terre fatate e avventure. E’ il sobbalzo, il fremito tra le scapole che precede di poco il pensiero: «E poi?» La voglia pazzesca, non appena hai girato l’ultima pagina, di cercare subito un altro libro, che ti chiarisca quel poi. La sicurezza, la dolce rassegnazione nel sapere che però nessun libro ti soddisferà e che la ricerca sarà senza fine, eterna.

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La sfinge dei ghiacci.

Un giovane ragazzo, figlio di un avvocato della provincia francese, tentò una volta di scappare di casa per imbarcarsi su una nave mercantile. Come Gordon Pym prima, come Conrad dopo. Lo spirito del mare lo chiamava, quello spirito che ti prende allo stesso modo tra le pagine dei libri e sulle scogliere di fronte alle onde. Scappò di notte dalla grande casa calda per vedere luoghi che conosceva solo di nome. Corruppe il capitano per farsi imbarcare, preparò con cura il suo bagaglio, pronto ad abbandonare per sempre il paese dove era nato. Il padre lo ripescò adirato qualche giorno dopo, in un porto poco distante. Non provò più a scappare di casa. Cercò quell’avventura che tanto bramava tra le pagine asciutte dei libri, studiò e si laureò in Lettere e cominciò a scrivere poesie. Ma il padre non condivideva, lo ripescò di nuovo dai suoi libri e lo costrinse a concludere gli studi di Legge. E lui obbedì. Come sempre. Divenne agente di cambio, si sposò con una donna facoltosa e si avviò a trascorrere una tranquilla esistenza borghese nel paese più borghese del mondo.

Non proprio la più avvincente biografia che abbiate letto, non è vero? Hemingway, Dumas, Conrad, scrissero libri interi sulle imprese che li resero uomini e scrittori. Ma il ragazzino obbediente non visse mai le sue avventure. Chiuso tra conti e scartoffie burocratiche si dovette accontentare di sognarle. Come si sa però, i sogni a volte sono più vividi della realtà.

Un bel giorno decise di raccontare a tutti le sue fantasie di bambino e trovò un editore che pubblicò i suoi viaggi straordinari, divenne ricco e famoso, tutti i ragazzini che non potevano partire per i mari del Sud leggevano i suoi libri. Jules Verne aveva però un grosso debito, con Edgar Allan Poe. Quando nessuno ancora parlava di libri d’avventura, lui aveva portato i lettori aldilà delle terre conosciute, nel biancore assoluto dell’Antartide. Lui aveva creato Gordon Pym, il primo di tanti ragazzini avventati che affronteranno i pericoli del mare, a lui doveva lo spirito che infiammava i suoi libri.. Estinse il debito, a modo suo.

La sfinge dei ghiacci (Mursia, pag. 320, euro 13,30) è il seguito delle Avventure di Gordon Pym. O meglio. In questo racconto Le avventure di Gordon Pym smettono di essere solo un libro e diventano la realtà. Ma come? Non era solo un romanzo? Questo è quello che credevamo tutti, dopo i giochini letterari di Poe, ed è quello che credeva anche il signor Jeorling, giovane e benestante geologo in cerca di un passaggio per le Falkland. Una misteriosa coincidenza porterà la goletta Halbrane su cui si è imbarcato a cambiare rotta, direzione Sud. Il capitano dell’Halbrane è infatti Len Guy, fratello di colui che guidò undici anni prima Gordon Pym tra i ghiacci. Il legame di sangue è più forte di ogni ragionevolezza e porterà il coraggioso equipaggio dove nessun altro, forse, è mai stato prima. Una lunghissima scia di indizi rende sempre più simile alla realtà il fantasioso resoconto di Pym. Verne ruba a mani basse personaggi e descrizioni, titillando il lettore avveduto, sussurrandogli quanto sia bravo a svelare i misteri della trama. Incoraggiandolo a riflettere su quanto dovrà aspettarsi da una spedizione che segue un diario allucinato.

Ma Verne è cresciuto, è un positivista, un fedele discepolo del pensiero razionale. Non può giustificare le straordinarie scoperte raccontate da Poe-Pym. Il suo è un mondo razionale, fatto di conti e di statistiche, di cartine precise e rilevazioni geologiche, latitudine e longitudine sono indicate con precisione e una cartina dettagliata mostra il percorso. Il bambino è pur sempre diventato un agente di cambio. Ma questo non rende la trama meno avvincente. La realtà non è meno avventurosa della fantasia. Verne riporta il folle viaggio tra i ghiacci sui binari della credibilità. Una cosa però ha imparato, è il mistero dell’ignoto ad attirare il lettore nell’Antartide, finché ci sarà qualcosa di vuoto, uno spazio bianco di neve sulla mappa, lui vorrà sapere cosa c’è. E l’autore tiranno è libero di accontentarlo o meno. Svelare o meno dalle nebbie la Sfinge dei ghiacci.

Io lo ripeto: come mai un uomo di buon senso avrebbe acconsentito a discutere seriamente su quegli avvenimenti? Nessuno, a meno di aver perso la ragione o di essere fissato su quel caso speciale, come lo era Len Guy – lo dico per la decima volta – nessuno poteva vedere nel racconto di Edgar Poe altro che un’opera nata dalla sua fervida fantasia.

Tra misteri magnetici e ammutinamenti, iceberg assassini e terremoti mostruosi, la scienza di Verne può competere con la fantasia di Poe. Ma l’omaggio al maestro non è un’inutile spiegazione, è un mistero più fitto. Le domande vere risuoneranno a vuoto in eterno. Ma la voglia di saltare su una nave per cercare le risposte, quella rimarrà la stessa di un tempo.

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