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Preparativi IV

pablo-picasso-reading-book-cigaretteI riti e i miti, come la giusta ricetta per il tiramisù, non sono altro che convenzioni reiterate all’infinito per cementare la comunità attorno a pochi punti fissi che non sbrodolino lungo i flussi vorticanti dei mutamenti storici. Questo post è in effetti uno di questi riti. Oramai alla sua quarta edizione, è definitivamente sfuggito al controllo del suo creatore, come un Golem impazzito. E’ costituito da alcuni elementi bizzarri, sicuramente superflui, ma che non sono più nella posizione di modificare, nonostante sia sempre più difficile soddisfare i requisiti. Prendete ad esempio la foto qui a sinistra: perché Picasso? Perché è quasi impossibile trovare altri vip che leggono un libro in costume. E gli scrittori non vanno al mare, evidentemente. E la grafica? Non la trovate fastidiosa? Quella in effetti la cambierò. Poi, questa storia dei conigli, ma a voi piace? Non sta diventando un tantinello imbarazzante? Ma niente da fare, sarà così per sempre, anche quando Muninn diventerà una voce conosciuta e rispettata nel mondo della critica letteraria, portandolo a un rapido declino e a una lunga decadenza come recensore di libri su Amazon.  Quindi ecco a voi sette libri non ancora letti e scelti a caso dagli scaffali delle librerie, di cui non possiamo essere certi del contenuto, che quindi consigliamo a scatola chiusa, mentendo e mentendo sulla menzogna stessa. In un tempo in cui tutti inneggiano alla Verità e al suo Tradimento qui sapete di trovare un porto sicuro zeppo di menzogne. Comunque, dicevamo, i riti, questo rito serve soprattutto a me, che così posso riprendere il ritmo e preparare ad agosto qualche pezzo per settembre (e immagino a nessun altro) anche perché ce ne saranno quanti, diecimila? Di altri consigli per le vacanze. Anzi no di

CONIGLI PER LE VACANZEEE!!!

image011Questa creatura delle tenebre – Harry Thompson

Questo è fico, parla del tizio che ha portato a spasso Darwin per i Mari del Sud. Non saremmo noi se non infilassimo da qualche parte un’avventura di mare, eccovela. Molto fico il titolo, ma mi sa che si riferisce alla depressione, e non ai mostri degli abissi. Fico comunque.

Anima – Wajdi Mouawad

Questo è un libro per la gente che scappa e va in un posto che non è più casa sua. Ma in realtà ci sono un sacco di animali schifosi che raccontano la storia, che deve essere un omicidio. Riproviamo con i narratori extraumani, Io sono un gatto faceva proprio schifo, ve lo dico.

Ragnarock – A.S. Byatt

WOW per essere un blog che prende il suo nome dal corvo di Odino ammetto di essere particolarmente carente e colpevolmente manchevole di rimpinzare le pagine con troll e martelli divini. Provvediamo con questo racconto potente ed evocativo che prende il mito nordico e lo strapazza dispiegandolo sulle molli colline verdi della campagna inglese. Ci sono gli elenchi, ci sono i nomi strani. Si inventa un sacco. Grandi aspettative.

Mercoledì delle ceneri  – Ethan Hawke

Storia d’amore per adolescenti scritta da un attore di Hollywood o gran bel pezzo di letteratura scritto da un autore di razza? Si piange e si ride e si balla a New Orleans in questo libro che tutti dicono molto bello. Fa salire un’ansia a un certo punto che quasi non si riesce a finire, ma è pieno di luce. Dicono eh, io non l’ho letto. Forse.

Pasto nudo – William S. Burroughs

Omamma mia, ho visto un fotogramma del film che Cronenberg ha fatto e c’erano tipo dei tizi in una stalla che succhiavano qualcosa da delle creature aliene appese al soffitto tramite delle cannucce. Che robe matte. Forse per leggerlo aspetto che legalizzino la marijuana. O forse no.

Olive Kitteridge – Elizabeth Strout

Ho visto la serie tivi con la moglie dei fratelli Coen. E anche se ho visto in tivi come va a finire, mi sembra che alla storia mancassero dei pezzi, ho comprato il libro a 5 euro in una bancarella dell’usato, questo si legge.

Zero K – Don DeLillo

Quel mattacchione di Don me lo immagino sempre in un loft di New York col pavimento in parquet completamente vuoto, senza mobili o abbellimenti tranne un Rothko alla parete (quindi senza abbelimenti). Seduto per terra, scrive a macchina con un cappello di stagnola in testa così non gli intercettano i pensieri. Forse c’è la radio  per sentire il baseball. Che matto Don! Chissà se il suo ultimo libro è bello o se la demenza senile si è già fatta strada in questo gigante della letteratura mondiale.

Ciao ciao amici, ci vediamo presto, prendete il sole, fate il bagno nel mare, camminate sui sentieri e cercate i funghi! Non bevete troppo ne troppo poco, leggete i libri che ho scritto qua ma anche quelli che vanno a voi. Un abbraccio.

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Leggere i mondi.

underworldVoltata l’ultima pagina, chiudo il libro e lo poso sul comodino. No, lo rigiro ancora un attimo tra le mani: ne percepisco il peso e osservo la sua struttura geometrica. Gli angoli smussati dall’usura non ne snaturano l’essenza di solido blocco quadrangolare. Potrebbe benissimo essere una pietra angolare di qualche antica cattedrale, di compatto granito. Immobile e ostile accanto alla mia testa lo osservo: le pagine di carta fine, il carattere minuscolo del tascabile non impediscono di raggiungere quasi le novecento pagine. Penso a quello che è successo quando ho finito il libro e al vago senso di incertezza che ha lasciato. Penso anche alle varie recensioni e analisi che ho letto: il postmoderno, la critica alla società dei consumi. Il complottismo che vede il numero 13 nascosto nei nomi dei giocatori di Baseball. L’ironia dell’autore che non vuole che il lettore capisca fino in fondo, perché alla fine non c’è nulla da capire. La tentazione di lasciare che questo monolito di carta mi convinca di essere un freddo esperimento di stile sono forti, dire a tutti che “sono rimasto stordito dalla sua complessità” e passare oltre.

Cosa crede che tu è, un Jedi, che muove così con tua manina? Io toydariano, trucchi di mente non funziona con me, solo money. – Watto a Qui-Gon Jinn, La minaccia fantasma.

Non posso fermarmi alla superficie, voglio recuperare la fraternità che ho condiviso con il libro mentre mi avventuravo nel suo mondo di carta. Le pagine nere che scandiscono la lettura non erano allora simboli di morte, ma solo riferimenti temporali di quel piccolo universo. La sensazione è che Underworld (Einaudi, pp. 880, euro 13,20, traduzione Delfina Vezzoli) sia un opera dove c’è poco spazio per l’emozione. Una costruzione di altissima abilità tecnica e stilistica, degna dei capolavori della cultura mondiale, fitti di connessioni, citazioni, sorprendenti scelte stilistiche e rigore compositivo. Don DeLillo, l’autore, crea un epico racconto, una straordinaria narrazione composta da molteplici storie e personaggi, tutte mescolate in un flusso unico dove la distinzione tra personaggio secondario e principale non è sempre chiarissima. Non mi piace definire queste parti frammenti, che sono piccoli pezzi sparsi dal caos, preferisco pensare alla torta marmorizzata: vaniglia e cioccolato sono separati in modo irregolare pur restando in un dolce unico, mescolati ma non uniti, venature marroni attraversano fette gialle. Una volontà ordinatrice, per quanto non segua sempre una motivazione logica, esiste. Stampatevi l’immagine di De Lillo, grembiule alla vita, che sforna la sua American Pie.

Avanti e indietro nella storia degli Stati Uniti d’America, durante la Guerra Fredda. I taxi gialli di New York potrebbero condurre in mezzo al deserto del Mojave se non prestate attenzione. Il Bronx italoamericano del dopoguerra si trasforma nel ghetto nero per antonomasia se non guardate dove camminate. Tutti i ceti sociali, tutte le razze dell’insalatiera americana. Personaggi storici famigerati e perfetti sconosciuti, personaggi d’invenzione che chiacchierano con ricordi di un mondo che è esistito. A collegare tutto e tutti, ma con un legame così apparentemente debole e fragile che l’unica parola che suona abbastanza bene è link, è una pallina da Baseball. Non una qualunque. Quella di una storica finale tra Giant e Dodgers. Oppure una qualunque, vi assicuro che non potrebbe fare differenza. L’apocalisse nucleare, il terrore rosso, la massificazione dei consumi e la produzione di rifiuti e scorie come caratteristica definente dell’essere umano, l’ossessione per la ricerca di un complotto sotterraneo che spieghi i segnali che vediamo dappertutto. La lotta per l’emancipazione dei neri, l’assassinio di Kennedy, il Texas Highway Killer. Tutto riconducibile alla piccola palla, al Botto Che Fece Il Giro Del Mondo.

Tutti gli episodi i capitoli i paragrafi le parti le frasi sono perfettamente autonomi. E perfetti. Lo stile di De Lillo è espressivo e misurato, consapevole del potere che ha sul lettore e della direzione in cui lo sta portando. Uno stile fatto di cose ed immagini, dove un cheesecake può essere «morbido e gustoso, con la personalità di uno zio benestante che conosce un centinaio di barzellette sporche, destinato a morire di eccessi sessuali tra le braccia dell’amante». I personaggi non sono mai gli agenti del racconto, ma sono molto aldilà dall’essere piatti. I servi dei Tre Moschettieri sono piatti, piazzati lì da Dumas solo per farsi prendere a bastonate o per consegnare un messaggio. Nel nostro libro invece ognuno ha una storia che ce lo rende interessante o fa parte di una Storia più grande che li rende tutti importanti. Tutti vedono qualcosa e cercano di leggere la storia e di nuovo, la Storia, con i loro strumenti, cercano ossessivamente una palla, il numero 13, la contaminazione, il complotto statale o quello straniero, una nave carica di merda che non può scaricare perché nessun paese la vuole. Il complotto segreto, anche se falso, è un modo per dare un ordine alla realtà incontrollabile.

E noi, lettori, sullo stesso loro piano. DeLillo genialmente non ci mostra i collegamenti che reggono la sua opera, non ci spiega come fa. Ci mette di fronte all’opera d’arte, spazio finito e autonomo, specchio e metafora del nostro mondo. Alla ricerca di un ordine i neuroni si uniscono e creano una realtà, noi assistiamo al suo formarsi, riflettendoci nei personaggi, non per come sono, ma per come vedono il mondo. Il loro di carta, il nostro solo un poco più vero. Sinapsi di un cervello.

Ora sì, posso spegnere la luce. Finalmente la pace.

P.S. Anche il mio titolo ha tredici lettere.

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